Quando apriremo gli occhi sulla cocaina e sugli altri intrugli diabolici che i nostri ragazzi si vedono passare davanti al naso nei locali del sabato sera? Spacciano sotto casa mia, nell' indifferenza generale. Diamoci da fare prima che sia troppo tardi. Non vorrei anch' io trovarmi, presto, con la paura in casa... Pietro Zambetti «Carissimo amico, voglio parlare a te della droga perché, pur non usandola, ne sei terrorizzato; a te che la vedi girar per strada, come uno dei personaggi della città, mascherata ma perfettamente riconoscibile...». Comincia così una delle più belle risposte che mi sia capitato di leggere sulla droga che inquina la nostra vita e spesso la sfascia. L' ha scritta Vittorino Andreoli, uno psichiatra, ma anche un padre, come lei, come noi. Se gli rubo qualche parola è perché mi fido di lui e del suo tentativo di fare qualcosa di utile per puntellare le nostre fragilità. Siamo sotto attacco: viviamo con troppa indifferenza un boom che non conosce crisi. Si parla, pericolosamente, di droga della normalità. È indecente che a Milano e nel nostro Paese si trovi dappertutto. Se nel calcio c' è il gol di Maradona assegnato alla cocaina, a scuola c' è il sette in pagella attribuito alla sniffata e sul lavoro esiste la performance dovuta alla dose. Bisogna costruire difese più solide, dice Andreoli. Basta coi falsi proclami e con le connivenze tra spaccio e organi di controllo. Non si può più ammettere il cinismo, la mezza morte, l' accettazione del male minore. Va difeso il diritto a non drogarsi; e bisogna tornare ad educare davvero. Ma senza rimpallarsi le colpe, dalla famiglia, alla scuola, alla tv, all' oratorio, allo Stato, al ministro dell' Istruzione. Per educare ci vuole affetto.
venerdì 26 febbraio 2010
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